Giovanni Verga - Vita e opere

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    Giovanni Verga si presenta come il principale esponente della narrativa verista. Si dedica in gioventù ad una letteratura patriottica e celebrativa, per accedere poi ad un’impostazione più romantica e dare infine una svolta in senso realista e verista.
    E’, con il teorico e scrittore Capuana, il padre spirituale del Verismo.


    La vita

    Giovanni Verga nasce a Catania nel 1840 da una famiglia benestante e d’antica origine nobiliare. Trascorre l’infanzia nel clima nuovo del liberalismo siciliano, pervaso di intenti patriottici di tipo carbonaro che influenzano profondamente la sua prima formazione.
    Il suo interesse per la letteratura si manifesta precocemente ed è senz’altro alimentato dai suoi parenti e educatori: il maestro dell’undicenne Verga fu, infatti, Antonino Abate, patriota della rivoluzione del 1848 e giovane poeta e romanziere; un cugino dello scrittore, inoltre, si era fatto conoscere per romanzi di fondo storico e patriottico. Questo background esorta Verga a lanciarsi, ancora giovanissimo, nel mondo della scrittura: si iscrive successivamente all’Università di Giurisprudenza a Catania ma non termina gli studi, impegnato com’è nella ricerca espressiva e teorica e nella stesura di romanzi.
    Lo scrittore sente ben presto la necessità di un incontro diretto con gli esponenti del Romanticismo Europeo: l’ambiente chiuso e limitato della Sicilia non lo soddisfa più. Nel 1869 si trasferisce a Firenze, mentre nel 1872 inizia il cosiddetto periodo milanese, durato fino al 1892-1893: si ha qui il miglior momento della produzione verghiana. Dal 1875, infatti, sembra concludersi il primo ciclo della sua arte: dall’esaltazione patriottica dei primi romanzi e dall’impostazione romantica dei successivi, si passa alla seconda attività del Verga, caratterizzata dal ritorno all’ambiente siciliano e alla vita dei ceti umili e disagiati, dei contadini, dei pescatori, dei tessitori della sua terra. E’ il romanzo del 1874 “Nedda” a segnare l’inizio del Verismo verghiano: le altre opere fondamentali sono le novelle “Primavera e altri racconti” (1877), “ Vita dei campi” (1880), e le quattro “Cavalleria rusticana”, “ La lupa”, “Ieli il pastore” e “Rosso Malpelo”, espressione della più alta novellistica verghiana.
    Con i “Malavoglia” lo scrittore giunge al romanzo muovendo dalle stesse basi delle sue novelle precedenti, e segna una straordinaria rivoluzione nella letteratura italiana, proseguita poi, nel 1888, da “Mastro don Gesualdo”.
    Giovanni Verga muore nel 1922, all’età di 82 anni, nella sua Catania.


    Le opere e i temi

    Il primo periodo dell’attività verghiana si contraddistingue per un intento patriottico di stampo risorgimentale. Esso si osserva in “Amore e patria”, prima opera dello scrittore e realizzata tra il 1856 e il 1857: di fondo storico, non fu che un esercizio scolastico di ben poca importanza. Il secondo romanzo, “I carbonari della montagna” (1861-62), è invece un’opera più impegnativa: allo spirito carbonaro si aggiunge una partecipazione sentimentale che già prelude al successivo interesse romantico. Ed è infatti in “ Sulle lagune” (1861) che il piano storico diviene una sorta di giustificazione per una vicenda di intreccio sentimentale e di amori, in pieno stile romantico: ad un interesse tematico nuovo va di pari passo una diversa ricerca stilistica, atta a produrre uno stile meno retorico e pomposo e più oggettivo e essenziale.
    Ma certamente la data più importante della primissima attività di Verga è il 1865-86, anno di pubblicazione del suo primo vero romanzo, “Una peccatrice”: in esso l’autore conferma e approfondisce la vena sentimentale ed inizia un percorso di ricerca interiore dei personaggi. “Storia di una capinera” (1871), l’opera successiva e risalente al periodo fiorentino, mostra uno stile più maturo: il personaggio si fa più umano, il viaggio psicologico si interiorizza e si crea un legame di dipendenza-influenza tra i protagonisti e l’ambiente in cui vivono. “Eva” del 1873 è ben accolta dagli ambienti intellettuali milanesi e segna, con “Storia di una capinera”, il successo di Verga. L’opera si muove ancora nelle precedenti linee romantiche, ma vede una costruzione complessa del personaggio di Eva: la tradizionale distanza tra lo scrittore e i suoi soggetti viene ridotta e il tono della prosa appare ansioso, diretto e spontaneo. Anche “Tigre reale” (1873) si distingue per una simile rivoluzione di contenuto e tono.
    “Nedda” (1874) segna l’inizio del secondo periodo dell’attività verghiana: da questo periodo in poi l’autore ritorna all’ambiente siciliano e alla descrizione nuda e cruda delle miserie umane. “Nedda” è in realtà un esperimento ancora acerbo, dove si affrontano, senza risolverli, i problemi della trascrizione dialettale: ma per la prima volta si ha un nuovo impulso sociale e un interesse per tutto ciò che non era trattato dalla letteratura “ufficiale”. Nel 1877 a Milano Verga pubblica una raccolta di novelle, “Primavera e altri racconti”, che mostra lo sforzo intenso compiuto dall’artista per inserirsi nel solco sociale e stilistico aperto con “Nedda”: il linguaggio è popolare, le vicende umili, i protagonisti antieroi banali e ignoranti.
    La successiva raccolta è “Vita dei campi”: l’indagine al fondo della vita contadina, l’ambiente aspro della Sicilia, i soggetti descritti sono gli stessi dell’opera precedente, ma lo stile si fa più maturo e scaltro, fino a giungere a completa maturazione nell’opera “I malavoglia” (1881). Il romanzo viene inteso da Verga come il primo lavoro del cosiddetto “ciclo dei vinti”, una serie di narrazioni concentrate sugli strati più dimessi della società italiana.
    Secondo romanzo del ciclo è il “Mastro don Gesualdo” (1888). Anch’esso di ambiente siciliano, vede come protagonista un muratore che ha raggiunto la ricchezza, lottando e lavorando faticosamente per tutta la sua vita. Soddisfatti i bisogni materiali, il Mastro cerca di ottenere anche il riconoscimento sociale: sposa una fanciulla d’origine nobile ma decaduta, che pur disprezzando Gesualdo acconsente al matrimonio per riparare allo sfacelo economico della sua famiglia. Con questa unione, il muratore spera di ottenere quell’elevazione sociale cui aveva sempre aspirato; ma non sarà mai accettato dal ceto alto, non troverà affetto neppure nella figlia che, frutto di una relazione clandestina della madre, è lontana dal padre non solo per sangue ma soprattutto per estrazione e cultura. La sua lotta si trasforma così in una istintiva difesa della sua ricchezza, senz’altri affetti o consolazioni.
     
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